venerdì 12 giugno 2015

L’eredità machiavelliana

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

Introduzione

Quando si approccia un classico, abitualmente ci si dedica a rintracciarvi i motivi di attualità e/o di obsolescenza. Spesso questa prospettiva ne orienta le celebrazioni. A questo proposito il 2013 è stato un anno ricco, fra le principali ricorrenze: il 50esimo de La banalità del male di Hannah Arendt, il 100esimo della nascita di Albert Camus e, l’oggetto di queste pagine che si propongono però di trascendere il semplice momento celebrativo, il 500esimo della stesura de Il Principe di Niccolò Machiavelli(1)
A proposito di quest’ultimo, e a conferma di quanto si diceva all’inizio, Eric Weil(2) notò che nella presenza di Machiavelli nella nostra cultura si possono distinguere due momenti, che a volte si sovrappongono e a volte si susseguono l’un l’altro. Un momento in cui lo si studia con estremo rigore storico-filologico, ed un momento in cui si cerca in lui una possibile soluzione ai problemi del presente, ovvero, un momento che lo colloca nella distanza ed uno che lo pone nella presenza. In breve, attualità e/o obsolescenza.   
Ora, quello che vorrei proporre in questo breve scritto è di abbandonare queste due prospettive, ricalibrandole in una terza che le contenga entrambe e però le trascenda (una sorta di hegeliana sintesi), quella della “eredità”. L’eredità infatti dà conto della permanenza di un classico nella storia senza forzarlo, decontestualizzandolo ed appiattendolo sul presente. Diviene così evidente che la presunta eternità di un classico non risiede nella eterna validità alla lettera del suo contenuto, ma nel persistere, con forme e tempi sempre contingentati dalla storia, di una sua qualche forma di influenza. 
Per questo, mezzo millennio dopo la stesura de Il Principe, anziché parlare di attualità e/o obsolescenza dell’opera, cercherò di rintracciare il filo rosso dell’eredità che ci unisce ad essa, della quale solo nostra è la responsabilità di ciò che ne faremo. 
A proposito di tutto questo, mi sembrano illuminanti le parole di Mario Reale quando scrive:

non c’è attualità che non si costituisca entro la consapevolezza della distanza, niente dei classici è trasferibile immediatamente nella realtà di oggi. Il filo di connessione è piuttosto costituito da quella che direi “lezione”, ossia la  possibilità di ricavare liberamente dai classici temi e motivi che, in parte, vanno oltre il tempo e possono, più spesso in forma indiretta, farci da guida(3)