sabato 30 settembre 2017

La poesia come atto inconoscibile

di Patrizio Paolinelli (patrizio.paolinelli@gmail.com)

Pubblicato il Falso Trattato di estetica di Benjamin Fondane.

È indubbio che il pensiero di Benjamin Fondane ponga seri interrogativi sulla condizione dell’essere nelle società dominate dalla razionalità strumentale. E tuttavia, come per Emil Cioran e altri intellettuali appartenenti alla galassia della cultura antilluminista europea della prima metà del ‘900, l’orizzonte aperto dal poeta-filosofo moldavo non va più in là di un soggettivismo estremo. Soggettivismo che può assumere varie coloriture: scettica, mistica, antirazionalista e così via. Nel caso di Fondane la centralità dell’Io si attesta nell’accanita difesa di una individualità estranea al mondo e che guarda sia al mito che alle forme primitive del sapere. Lo sbocco di questa tensione è una concezione tragica dell’esistenza. Concezione che influenza profondamente il Falso Trattato di estetica. Saggio sulla crisi del reale. Il libro venne pubblicato per la prima volta in Francia nel 1938 nell’ambito di un dibattito sulla relazione tra poesia e conoscenza ed è stato proposto al pubblico italiano a fine 2014 dall’editore Mucchi (142 pagg., 16,00 euro).

Le architravi del Trattato sono essenzialmente tre: 1) la liberazione della poesia dal controllo del pensiero razionale; 2) l’autonomia dell’atto poetico da ogni fine strumentale; 3) la capacità della poesia di appropriarsi della realtà rimossa dalla coscienza. Negli anni Trenta del secolo scorso le tesi di Fondane non destarono particolare interesse. Resta il fatto che il Trattato è fortemente polemico e tra i bersagli della critica c’è il movimento surrealista, accusato da Fondane di addomesticare in qualche modo la parte irrazionale dell’esperienza. Di più: l’impegno politico del surrealismo contro il potere della borghesia è rigettato da Fondane a favore di una rivoluzione esclusivamente interiore in grado di mobilitare la coscienza soggettiva. Ma verso dove? Non certo verso il cambiamento della società. Il che è ancora più significativo se consideriamo che il Trattato uscì in tempi in cui socialismo, liberalismo e fascismo si contendevano a colpi di cannone la guida del mondo. Fondane non si lasciò prendere più di tanto dalla contesa politica e niente lo schiodò dalle sue certezze: disimpegno dai fatti del mondo, astoricità della poesia, primato della spontaneità sulla ragione.

Il Falso Trattato di estetica muove contro ogni spiegazione logica circa la natura della poesia. Il nemico da battere è il pensiero riflessivo perché il mondo della tecnica fabbrica fantasmi, illusioni e apparenze che mettono in crisi il reale. Viceversa il reale gode di una sua innocenza primigenia, tant’è che per Fondane nel corso della storia umana solo gli uomini primitivi sono stati pienamente felici. Non sappiamo se abbia torto o ragione. Certo, nonostante computer, satelliti artificiali e successi della medicina nelle società cosiddette avanzate l’infelicità è largamente diffusa, il buon senso si assottiglia ogni giorno che passa e la saggezza è praticamente scomparsa (ci sarebbe da aggiungere che sul piano filosofico non si sa più dove si sia rintanata la verità, ma lasciamo perdere). Dunque l’oggetto della critica di Fondane è concreto e ancor oggi esperibile nella vita quotidiana di ognuno di noi. Tuttavia la soluzione proposta dallo scrittore moldavo non si rifà a qualche forma di umanesimo. Ricorre invece a temi dell’assurdo quali l’incomunicabilità tra uomo e mondo e l’impossibilità del pensiero riflessivo di spiegare la mancanza di ragionevolezza della vita. Ovviamente questa prospettiva lascia la realtà così com’è autorizzando però l’anima dell’individuo a macerarsi in una sofferenza senza fine. Tutto ciò è molto poetico, se si vuole. Ma anche molto snob, per non dire profondamente asociale.

La concezione antidialettica della storia e dell’esistenza umana da parte di Fondane si riflette nella sua concezione estetica della poesia. Per l’autore del Trattato la poesia è un oggetto che non può essere affrontato con le armi della spiegazione. Scrive Fondane: «Baudelaire, Poe, Rimbaud, Mallarmé si sono fatti particolarmente un punto d’onore – ultimo rifugio del loro amaro dandysmo – di convincerci (e forse di convincere se stessi) di essere padroni del loro demone interiore, quando, in realtà, i primi tre sono evidentemente degli incurabili posseduti; un fatto che la loro intelligenza non fu mai in grado di esorcizzare». Insomma, il demone del poeta attinge risorse dalla sua inconoscibilità. D’altra parte, chiosa Fondane, se il ragno dovesse pensare alla tecnica di costruzione della sua tela avrebbe molte difficoltà a tesserla. In definitiva, la poesia aderisce alla realtà come la pelle al corpo, «è una sostanza da cui la vita non può separarsi». Su un altro piano di riflessione si può dire che la poesia trattiene l’eterno nel verso, ma, per l’autore del Trattato, non in quanto tempo, bensì in quanto istante, in quanto oggetto unico, non in quanto essenza. Fuori da queste coordinate non si dà poesia, meglio: si dà una poesia cosciente e perciò antipoetica.

La forte presa di posizione di Fondane sulla natura della poesia ha le sue ragioni. Soprattutto in un’epoca come la nostra, dove la letteratura di successo è pianificata con le stesse tecniche con cui si commerciano lavatrici (con tutta la riconoscenza dovuta all’utilissimo elettrodomestico), mentre i poeti sono praticamente esclusi dalla vita pubblica (vendono poco, perciò non contano). Ironia della sorte, oggi Fondane conosce una sorta di revival promosso proprio dalla società della tecnica che ha distrutto non tanto la poesia come forma di espressione quanto la sensibilità poetica. Allora perché riproporlo? Sostanzialmente per il suo antilluminismo. La borghesia ha tradito i valori della Rivoluzione francese subito dopo essere arrivata al potere e oggi deve gestire il passaggio a una nuova forma di assolutismo. In questa transizione l’esistenzialismo di Fondane torna utile, nonostante Fondane. La sua contestazione al pensiero critico è vista con favore dal mercato e per vie carsiche sostiene l’individualismo negativo del borghese. Non basta. La sua polemica nei confronti della razionalità (polemica per molti versi fondata) spinge il soggetto a isolarsi dal mondo mentre lotta con un Io ipertrofico coltivato dalla pubblicità e dalla televisione. Sballottato in una marea di contraddizioni l’amante dei libri e l’intellettuale possono passare la vita occupandosi solo di se stessi e lasciando che il mondo vada come vada. Tenuto conto di questa conseguenza politica il Trattato illustra una posizione su cui riflettere. Il lettore che affronta quest’opera però deve essere ben attrezzato e sapersi difendere da effetti che vanno molto al di là del fatto estetico.

(«VIAPO», 14/02/2015)

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